La penuria d’acqua non è cosa nuova, nel Medio Oriente, ma anni di siccità hanno ridotto drasticamente le risorse idriche disponibili: così molti temono che presto sarà l’acqua, più che ogni altra risorsa, ad alimentare conflitti e guerre. L’ultimo monito è quello di Mahmoud Abu Zeid, presidente dell’Arab Water Council, organismo della Lega Araba: intervistato dal giornale web Al Monitor dice che la regione araba «è di fronte a un grave pericolo e all’esacerbarsi dei conflitti per l’acqua. E c’è una penuria di cibo che aumenterà con il crescere della popolazione: in mancanza di sforzi concertati rischiamo una carestia entro il 2025».
La regione araba conta meno del 7% delle risorse idriche mondiali, e riceve in media non più del 2% delle precipitazioni globali. Ma le cose si sono aggravate negli ultimi anni, quando è cominciato il ciclo di siccità più grave e lungo da almeno 50 anni. La quantità media di pioggia è diminuita nell’ultimo decennio, con due record drammatici nel 2008 e nel 2014. Questo minaccia sia le riserve di acqua potabile disponibile per la popolazione, sia la produzione agricola e la produzione di energia.
La crisi è soprattutto grave in Siria e Iraq, nel bacino dei fiumi Tigri e Eufrate, i due fiumi che hanno plasmato la storia umana in questa regione, la storica «mezzaluna fertile» – e che oggi sono in buona parte zona di conflitto. Qui l’acqua diventa anche uno strumento di guerra, sottolinea il presidente dell’Arab Water Council.
L’Iraq dipende per intero dai due fiumi: acqua potabile per gli abitanti, per i sistemi di irrigazione agricola, per rifornire le industrie e per produrre energia idroelettrica. Tigri e Eufrate insieme fanno il 98 per cento dell’acqua dolce superficiale dell’Iraq. Anche in Siria, la regione nord-orientale dipende per intero dall’Eufrate che la attraversa. E sono queste le regioni dove nella primavera del 2014 è cominciata l’offensiva dell’organizzazione chiamata Stato islamico: non a caso tra i primi obiettivi delle milizie islamiste c’erano alcune dighe (quella di Nuaimiyah, sull’Eufrate 5 km a sud di Falluja, poi quella di Samarra sul Tigri. Infine nell’agosto 2014 ha preso la diga di Mosul, la più grande (costruita negli anni ’80 da un consorzio italo-tedesco, 3,6 chilometri di lunghezza, pare che abbia gravi difetti strutturali ma è la fonte d’acqua vitale per Mosul, 1,7 milioni di abitanti; inoltre con un impianto idroelettrico da 1052 MW garantisce al Kurdistan iracheno rifornimenti costanti di energia). La presa di Mosul era il picco dell’espansione del Is, che allora proclamò il suo «Califfato» mettendo in allarme le forze occidentali e il vicino Iran.
Da allora l’Is ha perso territorio e anche la diga di Mosul, ma acqua, dighe e centrali elettriche restano terreno di battaglia. Secondo Abu Zeid «è chiaro che l’Is sta cercando di conquistare il controllo delle risorse idriche della regione araba». Controllare fiumi e dighe sarebbe un’arma più importante ancora del petrolio.
Anche perché acqua significa pane: quasi metà del raccolto di cereali dell’Iraq viene dalle province settentrionali, oggi controllate dallo Stato islamico o teatro di combattimenti. Le sole province di Ninive e Salaheldin fanno normalmente un terzo del raccolto annuo di grano e il 38% di quello d’orzo. L’anno scorso, quando l’Isis ha invaso la zona, il raccolto era appena a metà. A Ninive, la provincia più produttiva in assoluto, i miliziani dello Stato islamico hanno preso il controllo di silos e mulini, quindi del commercio di grano e farina. Il raccolto 2014 è stato ottimo, mentre ancora non sappiamo come sarà quest’anno. Intanto però l’escalation del conflitto ha portato al collasso il Sistema di distribuzione pubblica (Pds), da cui nel 2011 dipendeva il 57 % degli iracheni. Quanto alle province siriane, siccità e conflitto hanno portato al collasso totale.
Ci altri punti di crisi, beninteso. La Palestina, dove gli occupanti israeliani hanno il controllo di buona parte delle fonti d’acqua deprivando i territori palestinesi. La Turchia, nel cui territorio nascono il Tigri e l’Eufrate, suscita da tempo controversie per le dighe con cui controlla il flusso dei due fiumi. C’è la decennale questione del Nilo che coinvolge Egitto, Sudan e Etiopia. E la disputa tra Egitto, Sudan, Libia e Ciad per il bacino acquifero sotterraneo nella regione nubiana. La Lega araba lavora dal 2008 per definire una nuova Convenzione internazionale sull’uso dell’acqua, per risolvere i casi di disputa e dettare parametri su come usare in modo efficiente le risorse disponibili.
Ma per il momento sembra che la guerra abbia la meglio sugli accordi, e l’acqua resta oggetto di conflitto.