«Crediamo che l’Africa sia una delle ultime frontiere al mondo, l’esplorazione del suo straordinario potenziale di sviluppo è appena cominciato. (…) Chi saprà essere audace, innovativo e adattabile farà la storia dell’Africa emergente». Sembra la presentazione di finanziari specializzati in investimenti a rischio. Beh, quasi: è un’impresa privata di sicurezza e servizi logistici per l’industria mineraria e petrolifera in zone remote e pericolose del continente africano. La chiamano expeditionary logistic, «logistica di spedizione», con termine militaresco (ricorda le forze di spedizione) ma del tutto appropriato. Infatti il Frontier Services Group è l’impresa fondata da Erik Prince, 45 anni, ex militare dei Navy Seals (le forze speciali della marina militare Usa) e fondatore di Blackwater, divenuta la più nota e famigerata agenzia di contractors della difesa degli Stati uniti durante le guerre in Afghanistan e Iraq.
Il nome di Blackwater è tornato nelle cronache la scorsa settimana, quando quattro dei suoi ex militari sono stati condannati (uno all’ergastolo, gli altri a 30 anni di detenzione) per il massacro del 2007 a Baghdad, quando hanno sparato all’impazzata e ucciso 14 civili. Quel massacro fece infuriare gli iracheni, e accese i riflettori sull’impunità dei militari a pagamento.
La sentenza Blackwater è il primo caso in cui i responsabili di un abuso simile sono chiamati a rispondere. Ma è «un’eccezione, non la regola», ha commentato Elzbieta Karska, esperta in diritti umani che coordina un gruppo di lavoro dell’Onu sull’uso di mercenari: «l’appalto della sicurezza nazionale ad aziende private crea rischi per i diritti umani e la trasparenza», ha aggiunto (l’Onu sta lavorando per un trattato internazionale sull’uso di compagnie militari private nei conflitti transnazionali).
Ma torniamo in Africa: perché è qui che si è buttato il signor Erik Prince. Dopo il massacro di Baghdad infatti la sua Blackwater non si è più ripresa: accuse, richieste di risarcimenti. Il governo di Baghdad gli ha tolto la licenza, poi anche quello afghano. Cinque dei top executive (ma non Prince) sono stati incriminati in Usa per violazioni alle leggi sulle armi. Dopo aver cambiato nome alla sua impresa, nel 2010 Prince ha deciso di venderla (ora si chiama Academi ed è parte del Constellation Group, che continua a fornire contractors alla difesa americana).
Prince invece si è trasferito a Abu Dhabi, ha creato un fondo di investimenti privati e si è messo a cercare nuovi mercati, e nuovi clienti. Il mercato l’ha trovato nella «nuova frontiera», l’Africa, piena di materie prime e di aziende multinazionali in corsa per aggiudicarsele. Ha investito in una raffineria in Sud Sudan e in una piccola compagnia che fa le mappature aeree. Ma poi ha compreso che le materie prime sono un affare più grande, con enormi opportunità – così diceva Prince in una intervista all’agenzia Reuter circa un anno fa. Così ha cercato altri investitori – e li ha trovati in Cina.
Dunque un anno fa Erik Prince è diventato il presidente del Frontier Services Group, impresa quotata a Hong Kong di cui possiede azioni per il 9%, mentre la maggiore compagnia d’investimento del governo cinese, il Citic Group ha il 15% della proprietà. (C’è chi ha dato la notizia n questi termini: la Cina assume l’ex capo d Blackwaters per proteggere il suo impero in Africa).
Dunque, Blackwater parte seconda? «È simile», aveva risposto Prince all’agenzia Reuter, «ma non siamo qui a servire governi o progetti di difesa, a costruire forze di polizia, nulla del genere. Siamo là per far muovere una Ong, la squadra avanzata di una compagnia mineraria, o se un’impresa petrolifera ha bisogno di supporto per impiantare un nuovo campo». Beh, e per garantirne la sicurezza, si intende.
La morale della favola è che la «guerra privata» non conosce crisi. Anzi, esplora nuove frontiere, ben oltre gli appalti governativi – e ben oltre la guerra in senso stretto. Il nuovo cliente è l’industria estrattiva: le risorse naturali sono la nuova frontiera dei contractors.