Con un formale esposto alla magistratura, il gruppo ambientalista ecuadoriano Yasunidos denuncia di essere spiato dai servizi segreti dello stato. L’esposto si basa su documenti trapelati dalla Secretaria Nacional de Inteligencia (Senain), il servizio di intelligence interna dell’Ecuador, diffusi giorni fa da un gruppo chiamato “Ecuador Transparente”.
Il Collettivo Yasunidos è il gruppo che due anni fa ha raccolto centinaia di migliaia di firme per promuovere un referendum contro l’estrazione petrolifera nel Parco nazionale di Yasunì, una zona protetta dell’Amazzonia ecuadoriana. Ma non è l’unico oggetto di interesse delle spie nazionali.
Dai documenti rivelati dagli attivisti per la trasparenza infatti risulta che tra il 2010 e il 2013 i servizi hanno accumulato informazioni personali su numerosi ambientalisti, attivisti per i diritti umani, dirigenti dei movimenti indigeni, intellettuali e alcuni deputati e oppositori politici del presidente Rafael Correa: persone che hanno in comune di opporsi ai progetti di sfruttamento petrolifero nelle zone più remote dell’Amazzonia.
Insomma, una schedatura sistematica (la notizia è stata ripresa dalla stampa ecuadoriana e dal britannico The Guardian). Le informazioni raccolte includono situazione familiare, conti correnti bancari, stato patrimoniale, eventuali debiti, partner, viaggi, contatti con organizzazioni straniere. Quei documenti, quasi 200 pagine segnate come “segrete”, includono email, foto scattate durante dimostrazioni e incontri pubblici, e varie ricostruzioni dei legami politici e finanziari tra diverse organizzazioni.
Se la veridicità dei documenti sarà confermata, sarà una rivelazione imbarazzante per il governo: perché quella raccolta di notizie viola le leggi ecuadoriane sulla privacy (informazioni simili potrebbero essere raccolte legittimamente solo su mandato di un giudice nell’ambito di una indagine penale: ma non sembra che questo sia il caso). E quindi risulterebbe che un ente dello stato avrebbe usato denaro pubblico per sorvegliare gli oppositori del presidente.
Intanto, tutta la faccenda delle schedature dice che il progetto Yasunì resta questioni controversa in Ecuador, e che contenere i movimenti di opposizione ai progetti di sfruttamento petrolifero (e minerario) è una delle prime preoccupazioni politiche del presidente.
Eppure era stato proprio il presidente Rafael Correa a lanciare la «Iniziativa Yasunì Itt», nel 2007, facendo proprio uno dei progetti più ambiziosi mai avannzati dai movimenti di giustizia ambientale: lasciare il petrolio sottoterra. In altre parole, l’Ecuador si impegnava a non estrarre il petrolio nella zona chiamata Ishpingo-Tambococha-Tiputini (Itt) del Parco nazionale di Yasunì, oltre 16mila chilometri quadrati di foresta pluviale tra le più ricche di biodiversità al mondo. Così rinunciava a mettere sul mercato un combustibile fossile che avrebbe prodotto oltre 4 milioni di tonnellate di anidride carbonica, gas «di serra» responsabile del riscaldamento del clima.
Il petrolio però è la seconda fonte di reddito dello stato, e l’Ecuador chiedeva alle economie ricche di condividere il peso della rinuncia. Quantificato il valore del greggio giacente nel Yasuni in circa 7,2 miliardi di dollari, il governo ecuadoriano chiedeva di sottoscrivere 3,6 miliardi (la metà) in «certificati di garanzia» corrispondenti alle tonnellate di anidride carbonica che non andranno nell’atmosfera. Il Programma dell’Onu per lo sviluppo (Undp) aveva accettato di gestire un fondo fiduciario, e nel 2010 sembrava che il progetto fosse davvero pronto a decollare. Tre anni dopo però erano stati effettivamente sottoscritti certificati per appena 13 milioni di dollari, una briciola.
Era la fine di un’utopia. Nell’agosto 2013 il governo dell’Ecuador ha sciolto il fondo fiduciario («Le nazioni ricche non hanno appoggiato il piano», aveva dichiarato Correa); l’anno scorso Petroamazonas, sussidiaria della compagnia petrolifera statale PetroEcuador, ha avuto i permessi per costruire le strade di accesso e le installazioni petrolifere. Finita la moratoria, l’estrazione potrebbe cominciare nel 2016.
Il presidente Correa ha precisato che le concessioni petrolifere autorizzate toccheranno solo l’1% del territorio protetto, e che quei giacimenti porteranno al paese i soldi da usare per lo sviluppo e per combattere la povertà. Molti oppositori sospettano in realtà che il governo non aspettasse altro (si parlò anche di un accordo negoziato in gran segreto con una compagnia petrolifera cinese ancor prima che la moratoria fosse ufficialmente revocata). Tra le persone schedate pare ci sia anche Alberto Acosta, già ministro del petrolio che nel 2007 aveva appoggiato l’iniziativa Yasuni, e che in seguito ha criticato la decisione di mettere fine alla moratoria nel Parco nazionale.
La decisione di riaprire il Yasunì alle attività petrolifere ha suscitato polemiche e proteste in Ecuador. Un fronte di organizzazioni della società civile e popolazioni native della foresta amazzonica, che si è dato nome Yasunidos, ha raccolto 850 mila firme per un referendum popolare per sospendere le attività petrolifere nella riserva di Yasunì. Con grande delusione dei promotori però la Commissione elettorale centrale ha considerato valide poco più di 350 mila di quelle firme (meno delle 550mila necessarie), e la richiesta di referendum è stata respinta. Anche su questo le polemiche non si sono ancora spente: di recente Yasunidos ha portato il caso alla Commissione interamericana per i diritti umani, accusando il governo di impedire una legittima consultazione popolare.
Sembra che la schedatura degli attivisti di Yasunidos sia cominciata proprio allora: la Secretaria Nacional de Inteligencia sarebbe stata sollecitata a controllare come venivano raccolte le firme. Sembra di capire che secondo i servizi (o per il presidente Correa) l’opposizione all’estrazione petrolifera nel Yasunì è una minaccia alla sovranità del paese, o peggio una sorta di complotto per impedire al paese di svilupparsi e decollare, a beneficio di potenze straniere.
Oltre a Yasunidos, sono state oggetto di questa schedatura organizzazioni sociali e indigene come Ecuarunari, la Conaie (federazione delle nazionalità indigene delll’Ecuador), Pachacutik (partito indigenista), e gli attivisti locali di reti internazionali come Amazon Watch, Oilwatch, la Fundación Pachamama.
Esperanza Martínez, attivista di Acción Ecológica e parte di Yasunidos, rivendica: il gruppo ha solo esercitato il suo diritto costituzionale a chiedere un referendum popolare. I servizi, accusa, vogliono criminalizzare gli attivisti sociali.