Nelle ultime ore dalla California arrivano foto come questa: persone al lavoro per raccogliere il petrolio che si è riversato sulle coste della contea di Santa Barbara dopo la rottura di un oleodotto costiero. Decine di persone, tra cui molti cittadini volontari e addetti in tute protettive raccolgono la massa nerastra e viscida con pale e secchi, mentre barche stanno mettendo barriere galleggianti in mare per cercare di circoscrivere le due grandi macchie di petrolio: adesso coprono circa 14 chilometri di mare. È la stessa zona devastata da uno sversamento di petrolio molto più ampio, nel 1969, ricordato come uno degli eventi che diede vita al movimento ambientalista americano.
Mercoledì sera il governatore della California, Jerry Brown, ha dichiarato lo stato d’emergenza nella contea, cosa che permetterà di sbloccare fondi e mezzi per contenere il disastro ambientale.
Sembra che circa 400 mila litri di greggio siano fuoriusciti dall’oleodotto danneggiato, di cui circa un quinto (80mila litri) riversate in mare mentre il resto ha ricoperto un tratto di costa molto bello noto per due spiagge – la Refugio State Beach e la El Capitan State Beach – zone protette.
Sulla quantità di greggio fuoriuscito in realtà abbiamo solo stime. La rottura nell’oleodotto è stata scoperta martedì, e in quel momento il greggio usciva al ritmo di 84mila galloni (310,000 litri) all’ora; per chiudere la falla ci sono volute tre ore, ma non è chiaro da quanto tempo era già aperta.
L’oleodotto appartiene a un’impresa di Houston (Texas), la Plains All-American Pipeline: Darren Palmer, che la presiede, mercoledì ha rivolto le sue scuse ai californiani. L’impresa pagherà i danni, ha detto – ma non ha detto nulla sulla quantità di greggio dispersa sulle coste di Santa Barbara. Sulle circostanze del disastro sta indagando il Dipartimento dei trasporti del governo federale, responsabile per la sicurezza degli oleodotti. Il Los Angeles Times scrive che dal 206 l’azienda ha avuto 175 contravvenzioni per violazioni delle norme di sicurezza e manutenzione.
Non ci sono ancora stime sui danni alla fauna marina, ma sulla Gaviota Coast si parla di un incubo – e le immagini di pesci, crostacei e uccelli impregnati di greggio non fanno presagire bene.
Proprio ieri un nuovo studio pubblicato negli Usa ha collegato la morìa di delfini avvenuta sulle coste di Alabama, Louisiana e Mississippi tra il giugno 2010 e il dicembre 2012 al disastro della Deepwater Horizon, la piattaforma petrolifera che esplose nel Golfo del Messico lasciando scoperto un pozzo di petrolio sottomarino che riversò greggio per alcuni mesi prima che si riuscisse a bloccarlo.
Lo studio rientra nel progetto Deepwater Horizon National Resource Damage Assessment, uno studio (ancora in corso) sulle conseguenze a lungo termine del disastro nel Golfo del Messico. E dice che le conseguenze di un disastro ambientale vanno valutate nel lungo termine.