Foreste «convertite» in piantagioni. Con la complicità europea

Quando si parla di deforestazione pensiamo subito all’industria del legname. Certo, mobilifici e cartiere in tutto il mondo alimentano una domanda di alberi spesso insostenibile. Ma circa metà della deforestazione nelle regioni tropicali è dovuta alla produzione agricola destinata al commercio internazionale: foreste tagliate per coltivare derrate come palma da olio, soia o altro. E l’Europa è tra i maggiori importatori di queste derrate: dunque è attivamente corresponsabile della perdita di foreste tropicali, sostiene un rapporto pubblicato da Fern, organizzazione non governativa con sede in Olanda (si dedica al monitoraggio delle politiche europee su foreste, commercio internazionale e cambiamento del clima).

Riassumiamo. La perdita di foreste è un trend noto ed è particolarmente grave nelle regioni tropicali, dove si trovano le grandi foreste pluviali del pianeta. La Fao stima che nel decennio tra il 2000 e il 2010 circa 13 milioni di ettari di foresta siano stati «convertiti ad altro uso», ovvero tagliati, e i terreni usati per piantagioni o coltivazioni varie. La perdita netta ammonta a 5,2 milioni di ettari ogni anno (secondo l’agenzia dell’Onu il ritmo della deforestazione è rallentato rispetto al decennio precedente, ma resta un ritmo allarmante).

Sumatra (Indonesia), foreste bruciate per far spazio a piantagioni

Sumatra (Indonesia), foreste bruciate per far spazio a piantagioni

 «Convertiti» è un fantastico eufemismo per dire deforestazione. Significa che dove c’era una vera foresta, più o meno vergine, ora ci sono grandi piantagioni di legno tenero per l’industria della cellulosa, o di palma da cui sarà estratto olio (industria particolarmente importante in Indonesia, dove l’80 per cento dello sfruttamento della terra avviene illegalmente). Oppure ci sono coltivazioni estensive di soia destinata all’industria alimentare e soprattutto a diventare mangime per mucche (la soia e l’allevamento di bovini sono responsabili di quasi tutta la deforestazione avvenuta in Brasile: e secondo i dati raccolti da Fern, fino al 90 per cento della deforestazione nell’ultimo decennio nell’Amazzonia brasiliana è illegale). Indonesia e Brasile sono ai primi posti, ma anche la fascia tropicale dell’Africa, come pure Papua Nuova Guinea, Laos e Cambogia, stanno diventando sempre più importanti come fornitori di materie prime agricole sui mercati internazionali.

 Buona parte di questa deforestazione è illegale. Vuol dire che le motoseghe tagliano senza avere una regolare autorizzazione, o vanno oltre l’area avuta in concessione. Imprenditori forestali abusivi prima esportano il legname di valore e poi chiedono l’autorizzazione a trasformare in piantagione («rendere produttiva») la foresta «degradata». Spesso ciò si accompagna a corruzione, violenza, intimidazioni verso attivisti locali e gli abitanti che da quelle foreste sono cacciati via, violazioni dei diritti umani.

Una piantagione di palma da olio in Wet Papua, Indonesia

Una piantagione di palma da olio in Wet Papua, Indonesia

 Ebbene: circa un quarto (in termini di valore) delle derrate agricole provenienti dalla deforestazione illegale messe in commercio sono destinate al mercato europeo, secondo i dati raccolti da Fern. Nell’anno 2012 abbiamo importato circa 6 miliardi di euro (in termini di valore) di soia, carne bovina, pellame e olio di palma provenienti da foreste tropicali disboscate illegalmente – ovvero circa il 27% della soia, il 18% della palma da olio, il 15% della carne bovina e il 31% del pellame là prodotti ed esportati. Principali importatori sono cinque paesi europei: Paesi Bassi, Regno unito, Germania, Italia e Francia. I Paesi bassi soprattutto per l’olio di palma, seguiti dalla Germania; l’Italia soprattutto per il pellame, la Francia più per la soia, il Regno unito più per la carne.

 P.S. Una piantagione di alberi non è uguale a una foresta vergine, dal punto di vista ecologico. La Fao ad esempio dedica il suo ultimo rapporto sullo stato delle foreste, 2014,  a spiegare come queste siano essenziali alla sopravvivenza di decine, centinaia di milioni di persone: i boschi danno «occupazione, energia, cibo e un’ampia gamma di beni e servizi agli ecosistemi», che sia attraverso la raccolta di frutti spontanei, foglie, fibre vegetali, legna caduta. Una foresta è molto produttiva, da viva.

@fortimar