(da Internazionale.it) L’impianto a carbone di Vado Ligure oggi è fermo, sotto sequestro giudiziario, ma arrivarci è stata una storia lunga: ha coinvolto una rete di cittadini, medici, alcuni magistrati, e naturalmente amministratori locali e dirigenti d’azienda. Se e quando ci sarà, un processo per la centrale a carbone di Vado-Quiliano farà scalpore: una società italo-francese accusata di disastro e omicidio colposo con la connivenza di alti funzionari dello stato.
Tutto è cominciato la sera che un tg ha annunciato il progetto di ampliare la centrale termoelettrica di Vado Ligure-Quiliano, alle porte di Savona. Era il maggio del 2007: «Parlavano di aggiungere un nuovo gruppo a carbone», ricorda Gianfranco Gervino. Dicevano che il nuovo impianto avrebbe prodotto più energia inquinando meno, «e a noi sembrava incredibile». Siamo su una collina che guarda la rada di Savona e l’impianto è appena sotto di noi, al centro dell’abitato, con i camini, i pennacchi di vapore e la grande macchia nera del carbonile scoperto. Accanto al muro della centrale ci sono case, giardinetti, scuole. Più giù i pontili del porto industriale. Il centro di Savona è pochi chilometri a est, appena al di là del torrente Quiliano.
La centrale termoelettrica è là da quarantacinque anni, parte nel territorio di Vado, parte in quello di Quiliano, che poi sono una sola area urbana e fanno tutt’uno con Savona. La società Tirreno Power l’ha comprata dall’Enel nel 2003, con la liberalizzazione del mercato dell’energia (poi la francese Gaz de France-Suez, ora ribattezzata Engie, ha comprato metà di Tirreno Power): sono due gruppi a carbone da 330 megaWatt ciascuno e uno più recente a metano, da 760 megaWatt.
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