In Angola i diamanti restano insanguinati

Il caso del giornalista angolano Rafael Marques de Morais ci impone di aggiornare la nozione di «diamanti insanguinati». Marques è stato imputato per diffamazione dopo aver scritto un libro in cui denuncia un regime di sfruttamento bestiale, violenza, tortura e uccisioni nelle zone diamantifere nella regione del fiume Cuango. La notizia fresca è che il processo a suo carico, cominciato a porte chiuse, non avrà luogo: il giornalista ha raggiunto un accordo extragiudiziario con i sei generali che lo avevano querelato (nel libro lui li accusa di lucrare su quei diamanti). Marques ha accettato di riconoscere che i generali, tra cui stretti alleati del presidente Jose Eduardo dos Santos, non avevano diretta conoscenza dei fatti denunciati, e loro hanno ritirato la querela. Anche la compagnia diamantifera Itm Mining (soci britannici, mozambicani e angolani) ha ritirato la sua querela.

L’accordo ha evitato al giornalista un processo per cui rischiava fino a 9 anni di carcere e oltre un milione di dollari di multa; i militari evitano invece un dibattimento imbarazzante, perché avrebbe dato grande pubblicità ai fatti denunciati nel libro. E quei fatti, cioè le atrocità commesse da soldati e forze private di sicurezza nella regione diamantifera, non sono stati messi in questione. Alcuni testimoni erano già arrivati nella capitale Luanda dalla lontana regione del Cuango, per deporre in aula a scagionare il giornalista. Del resto, quei generali sono i comproprietari delle imprese di sicurezza privata responsabili degli abusi – anche questo è un fatto.

Il libro Diamantes de sangre. Corrupção e Tortura em Angola, pubblicato nel 2011 in Portogallo (editore Tinta-da-China, Lisbona, 2011: si può trovare qui), elenca con nomi, date e circostanze oltre 100 casi di uccisioni e centinaia di casi di tortura e violenze subite da cercatori di diamanti nella provincia di Lunda-Norte, regione del fiume Cuango. Ma non solo, descrive  «un regime di corruzione e violenza, di arbitrarietà e impunità», scrive Rafael Marques de Morais nella sua prefazione.

Il bacino del fiume Cuango, nel nord-est dell’Angola, racchiude la più ricca vena di diamanti del paese e una delle più ricche del mondo. Sono per lo più diamanti alluvionali, cioè pietre trascinate nel letto dei torrenti durante le piogge stagionali: per cercarli servono solo pale e setacci e centinaia di cercatori, chiamati garimpeiros.

Non a caso, quando il ribelle Jonas Savimbi ha rilanciato la sua guerra interna contro il governo di Luanda, nel 1992, per prima cosa ha occupato proprio la regione del Cuango: i diamanti sono stati la prima fonte di finanziamento della sua guerra – una lunga e sanguinosa guerra civile finita solo dopo la morte di Savimbi nel 2002.

La guerra interna angolana è stata il primo caso in cui il legame tra un conflitto armato e una risorsa naturale è apparso così chiaro. Il termine blood diamonds è nato con le prime campagne lanciate da gruppi internazionali per i diritti umani contro la De Beers, la società che monopolizzava il mercato e comprava diamanti dai ribelli. Nel 1998 è arrivato il primo embargo dell’Onu sui diamanti estratti illegalmente, cioè in zone di conflitto, senza regolare certificato del legittimo governo angolano (vedi «Il ribelle e i diamanti», in La signora di Narmada).

Ora Marques de Morais dà una nuova accezione al termine «diamanti insanuinati». Oggi infatti il bacino del Cuango non è zona di conflitto; non stiamo parlando di estrazione illegale; nessuno usa quei diamanti per finanziare guerre. Stiamo parlando però di sfruttamento bestiale, violenza, arbitrio e impunità: il tribunale che voleva processare Marques per diffamazione non ha contestato i fatti alla base del suo libro.

La provincia di Lunda-Norte, circa 170mila abitanti, è la principale zona di garimpo in Angola. Marques l’ha visitata più volte tra il 2009 e il 2011 per compiere la sua indagine. Scrive:

Nonostante tutta la legislazione e tutto il discorso ufficiale dicano il contrario, nella pratica le comunità locali sono torturate e assassinate e non dispongono del benché minimo accesso a meccanismi legali di giustizia. Oltre a questo, gli è stato impedito in modo sistematico e intenzionale di svolgere qualunque attività di sostentamento che non sia il garimpo. Le terre gli sono state espropriate, i raccolti distrutti, i collegamenti stradali da Cuango privatizzati e l’accesso vietato alla popolazione locale.

Per sopravvivere quindi i locali sono del tutto dipendenti dal garimpo, e sono vulnerabili agli abusi di potere da parte delle forze armate e della sicurezza privata, che agiscono con la connivenza delle imprese diamantifere, delle autorità locali e del governo angolano.

Gli episodi documentati nel libro non sono casi isolati, precisa Marques: nella regione diamantifera del Cuango la violenza è strutturale, e «ha radice nella volontà politica degli alti dirigenti angolani, protetti dalla Presidenza della Repubblica, che si arricchiscono in modo illecito e violento in connubio con le imprese che estraggono e commerciano diamanti. Il governo non ha usato neppure una minima parte della produzione di diamanti per generare occupazione, servizi sanitari e istruzione e alleviare l’estrema povertà delle comunità locali». Tutto ciò è stato possibile «sotto la bandiera del Mpla, in quanto partito al potere da 36 anni, che una classe dirigente ha potuto sfruttare in modo brutale le comunità abitanti nelle regioni diamantifere». Già: non c’è dubbio che il Mpla sia stato il movimento di liberazione nazionale che si è battuto contro il potere coloniale e contro l’imperialismo – ma ormai è al potere da 36 anni e ha instaurato un regime dittatoriale, di grande ingiustizia sociale, arrogante e impunito.

Rafael MarquesGiornalista, da sette anni il 43enne Rafael Marques de Morais gestisce da casa propria un sito web investigativo, Maka Angola, che si dedica a denunciare ingiustizie, corruzione, violazioni dei diritti della cittadinanza.

Nella dichiarazione letta martedì in tribunale, a suggellare l’accordo che ha chiuso la vicenda della diffamazione, Marques si impegna a non ripubblicare il libro ma anche a continuare a monitorare la situazione dei diritti umani nella provincia di Lunda. «Se i generali e la ItmMining avessero potuto rispondere alle mie domande il mio approccio iniziale forse sarebbe stato diverso».

Ha poi commentato: «I generali e le imprese dovranno dare accesso e il necessario appoggio per garantire la protezione dei diritti umani nella regione. E’ agli atti della corte».

@fortimar