Quattro anni fa un terremoto ha colpito il Giappone, ha travolto una centrale atomica e provocato il più grave disastro dell’industria nucleare civile dopo quello di Cernobyl. Un’ampia zona è stata contaminata, costringendo 150 mila persone a sfollare.
Per molti giapponesi il disastro di Fukushima ha mandato in frantumi il mito del «nucleare sicuro». Non ha scalfito però la passione atomica del governo giapponese, che vuole rilanciare l’industria nucleare e per questo minimizza il pericolo, nascondendo le conseguenze del disastro.
La realtà è che la decontaminazione non è finita, e non finirà per lungo tempo. Proprio oggi Greenpeace ha pubblicato un rapporto secondo cui residui radioattivi si trovano in 54 mila diversi siti della Prefettura (Provincia) di Fukushima. Ben pochi hanno potuto tornare alle loro case: 120 mila persone restano sfollate.
A Fukushima è ancora l’anno zero, per citare il libro-reportage del giornalista giapponese Naomi Toyoda, pubblicato in Italia da Jaca Book: un’indagine su cosa succede dopo un disastro atomico, alle persone che ne sono travolte.
Cosa succede a Fukushima? A partire dal libro-reportage di Naomi Toyoda ne discuteremo il 12 marzo a Roma, alle 17,30 nella sala conferenze della Fondazione Basso con Giuseppe Onufrio (direttore di Greenpeace Italia), Yukari Saito (Centro di documentazione «Semi sotto la neve»), Massimo Scalia (professore di fisica all’Università di Roma 1, tra i fondatori del movimento antinucleare in Italia), e Gianni Tognoni (segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli)