Perché dopo un disastro manca il pane

Un disastro come il ciclone Pam, che ha letteralmente spazzato la piccola isola-stato di Vanuatu, nel Pacifico, colpisce l’attenzione mondiale. Vanuatu vive per lo più di agricoltura, e il ciclone ha colpito circa due terzi della piccola nazione: ora il primo drammatico effetto rischia di essere una carestia, perché i raccolti sono stati distrutti e così le barche da pesca.

Dopo il disastro, è in pericolo la sicurezza alimentare. E questo non vale solo della piccola isola del Pacifico. Nelle cronache spesso sfugge che quando un disastro naturale colpisce, nei paesi «in via di sviluppo», quasi un quarto di tutti i danni ricadranno sulle spalle di agricoltori, pescatori, allevatori. Insomma, del settore agricolo. Così osserva la Fao in uno studio presentato alla terza conferenza dell’Onu sulla «riduzione del rischio da disastri naturali», in corso a Sendai in Giappone.

I dati raccolti dalla Fao fanno pensare. Tra il 2003 e il 2013 disastri naturali hanno colpito oltre 1,9 miliardi di persone in paesi in via di sviluppo, e hanno causato oltre 494 miliardi di dollari di danni. Però le statistiche globali sull’impatto economico dei disastri sono riferite di solito come somma di tutti i settori – la perdita di vite umane, i danni alle abitazioni e alle infrastrutture.  Ma di rado si guarda all’impatto specifico sull’agricoltura – e sulla vita delle popolazioni rurali.

L’organizzazione dell’Onu per l’agricoltura lo ha fatto: ha analizzato 78 casi di intervento post-disastro, e ha cercato di quantificar i danni per settore. Quei 78 casi hanno provocato danni complessivi per 140 miliardi di dollari, osserva la Fao, di cui 30 miliardi nel settore agricolo: ovvero, in media il 22 per cento dei danni accertati riguardavano il settore agricolo – raccolti, allevamento, pesca e economia forestale.

Nei disastri strettamente legati al clima – alluvioni, siccità e cicloni tropicali – fino l 25 per cento dei danni complessivi ruguarda il settore agricolo. E in caso di siccità, l’84 per cento dell’impatto economico riguarda l’agricoltura. E però, solo una parte molto più piccola degli aiuti umanitari sono diretti al settore agricolo: appena il 3,4% nell’ultimo decennio, segnala la Fao.

Le economie rurali dunque sono particolarmente vulnerabili ai disastri naturali – e ricevono meno aiuto per risollevarsi. Siccità, cicloni, alluvioni, tsunami, terremoti colpiscono in particolar modo la terra, distruggono raccolti, infrastrutture, bestiame, sementi, riserve alimentari. Possono cambiare i flussi di commercio di prodotti alimentari, ad esempio rendere dipendenti dagli aiuti e dalle importazioni zone che non lo erano; causare i crollo di industrie agro-alimentari o di settori dipendenti da derrate agricole (come il tessile). Possono rallentare la crescita economica: in paesi come Il Burkina Faso, la Cambogia, l’Etiopia, il Kenya, il Mozambico e molti altri l’agricoltura fa circa un terzo del Prodotto interno lordo. I numeri non possono rendere tutta la sofferenza umana provocata da un disastro naturale: per milioni di persone un ciclone, un’alluvione, una siccità significano perdere la capacità di mantenersi, cadere nella povertà, magari dover emigrare.

Se consideriamo che almeno 2 miliardi e mezzo di piccoli contadini, allevatori, pescatori e comunità forestali dipendono dall’agricoltura-allevamento-pesca per sopravvivere, e che dal loro lavoro dipende oltre metà della produzione agricola mondiale – si capisce perché la Fao lancia il suo allarme.

La Fao ha usato il summit sui disastri per lanciare un suo nuovo programma sulla «riduzione del rischio e sicurezza alimentare» (il Framework Programme on Disaster Risk Reduction for Food and Nutrition Security), con sistemi di scambio di informazioni e di allarme precoce. Dopo un disastro, dice l’agenzia, ricostruire il settore agricolo dovrebbe essere una priorità.

@fortimar