Generali è una delle maggiori compagnie d’assicurazione italiane. Duke Energy è la maggiore azienda produttrice di energia elettrica degli Stati uniti, oggi sotto accusa per aver inquinato diversi bacini d’acqua. Per capire cosa le lega, seguiamo il filo del carbone.
Il carbone resta tra le fonti d’energia fossile più estratte del Pianeta, con miniere attive in circa 70 paesi, questo ormai nessuno o nega. Principali produttori e consumatori sono Usa, Cina e India, e secondo il think tank americano Center for Climate and Energy Solutions, dal carbone dipende il 29,7% della produzione energetica e il 44% delle emissioni di anidride carbonica mondiali.
Ridurre l’uso di carbone è fondamentale, per contenere il cambiamento del clima. In occasione della recente conferenza dell’Onu sul clima a Parigi (la Cop 21), abbiamo sentito grandi dichiarazioni d’intenti – ad esempio da parte delle grandi compagnie d’assicurazione, che gestiscono enormi quantità di fondi attivi da investire.
Anche Generali: «In qualità di assicuratore, Generali desidera avere un ruolo attivo nel dare supporto alla transizione verso un’economia ed una società più sostenibili. Continueremo a monitorare e ridurre i nostri impatti diretti e a promuovere un’economia per limitare il riscaldamento globale a 2 gradi attraverso i nostri prodotti, servizi e investimenti, così come affermato nella nostra Politica di Gruppo per l’ambiente e il clima», dice un messaggio pubblicato sul suo sito web in occasione della conferenza sul clima.
Dal 2010 Generali dichiara di avere le sue linee guida su come vincolare i suoi investimenti e prestiti in giro per il mondo a una maggior tutela ambientale; prima dichiarava di seguire le “migliori pratiche” del Fondo pensione del governo norvegese, che con quasi 790 miliardi di euro di attivi in gestione è il principale veicolo a controllo statale al mondo.
Negli ultimi tempi però il Fondo norvegese ha deciso di disinvestire dal carbone, cioè non puntare più su società che affidano al carbone più del 30% della propria capacità di generazione elettrica, nel caso delle utility elettriche, o più del 30% dei ricavi da progetti a carbone. Anche Axa e Allianz, dirette concorrenti di generali, hanno scelto di non mettere più le proprie risorse nel carbone. Invece la compagnia triestina continua a investire in compegnie come la Duke Energy, la più grande utility energetica statunitense, con interessi anche in Canada e in America Latina.
Duke è finita nell’occhio del ciclone per l’altissimo livello di inquinamento dei bacini d’acqua in cui sono sversati i residui tossici della combustione nelle centrali a carbone. Tecnicamente si chiama coal ash management, attività molto dannosa per l’ambiente e per le persone. La Duke brucia carbone in cinque stati: Indiana, Florida, Kentucky, South Carolina e North Carolina, con 14 impianti e ben 33 bacini di smaltimento. «Immaginate 33 stagni grandi come il Colosseo, o più, pieni di rifiuti industriali contenenti arsenico, cromo, cadmio, mercurio e piombo che finiscono nei fiumi e nelle falde acquifere. Un vero incubo!», racconta Donna Lisenby, esponente dell’organizzazione International Waterkeeper Alliance, che dal 2010 segue questo caso. «Nei pressi di questi stagni vivono oltre 300 famiglie, che non possono utilizzare l’acqua dei pozzi vicini alle loro abitazioni». Donna spiega che è la Duke a fornire riserve idriche a tutte queste famiglie ma che le ultime analisi fatte eseguire dalle autorità statali lo scorso febbraio hanno stabilito che l’acqua è potabile, smentendo le precedenti ricerche. «L’attuale governatore del North Carolina, Pat McCrory, ha lavorato per la Duke Energy per 28 anni».
Se localmente la compagnia può contare su alleati di un certo peso, a livello federale le cose non vanno altrettanto bene. Nel 2014, a causa della sua discussa gestione delle ceneri di carbone e soprattutto di un grosso sversamento nel fiume Dan, in North Carolina, la Duke Energy è stata accusata di negligenza, imperizia e violazione della normativa nazionale sui fiumi. La compagnia ha patteggiato con le corti federali civili e penali, che hanno così imposto sanzioni pecuniarie di oltre 100 milioni di dollari e l’obbligo di svolgere servizi per le comunità danneggiate. «Ma ci sono aspetti molto controversi in queste sentenze, per esempio che la Duke è obbligata a ripulire i bacini che si trovano nei paraggi di sole 7 delle 14 centrali in North Carolina. Non basta, devono bonificare tutta l’area che hanno inquinato», ribadisce Lisenby.
Intanto anche gli azionisti della Duke hanno intrapreso ben sei azioni legali nei confronti della compagnia e non è da escludere una class action. Proprio per raccontare quali e quanti sono i problemi che avvolgono una delle società in cui Generali investe i suoi fondi, Donna Lisenby è volata fino a Trieste, dove ha partecipato all’assemblea degli azionisti della compagnia assicuratrice.
A proposito di azionariato critico: in quell’assemblea c’erano anche esponenti di Re:Common, che hanno stigmatizzato i finanziamenti di Generali all’indiana NTPC, alla polacca PGE, alla ceca CES e alla tedesca RWE, che ha impianti a lignite, ancora più inquinanti (è la compagnia europea che emette più anidride carbonica nell’atmosfera).
«Chiediamo a Generali di rendere pubblici tutti i suoi investimenti in società attive nel settore del carbone (estrazione, trasporto e produzione elettrica) sia tramite azioni che titoli obbligazionari.
Analogamente di rendere pubbliche le sue operazioni di assicurazioni di specifici progetti a carbone. E soprattutto di impegnarsi da questa assemblea a sviluppare entro la fine del 2015 una policy di disinvestimento dal carbone che vada oltre gli impegni di Axa, Allianz e del Fondo pensione norvegese», ha detto l’associazione Re:Common nel suo intervento (che ha ricevuto una risposta piuttosto elusiva dal presidente di Generali, Gabriele Galateri di Genola: la compagnia non ha «una politica di esclusione delle società legate al settore energetico, in particolare quelle che producono carbone… ma questo tema è tuttora oggetto di approfondimento da parte di Generali, che non è ancora giunta a politiche di disinvestimento ma ha intenzione di adeguarsi alle regole che stanno emergendo nell’ambito dei convegni internazionali, come la COP21». Insomma, siamo ancora solo a vaghe dichiarazioni d’intenti – la realtà è ancora carbone, emissioni tossiche e ceneri inquinanti.
(ringrazio Luca Manes)
“Ridurre l’uso di carbone è fondamentale, per contenere il cambiamento del clima” è senz’altro vero. Però, bisogna ricordare che il carbone non è l’unico imputato. In materia di produzione di “gas serra” Infatti il carbone non è molto peggio degli altri combustibili fossili (petrolio, metano). I ricchissimi fondi pensioni norvegesi sono appunto ricchi per il grande sfruttamento dei giacimenti petroliferi ecc del Mar Nord da parte della Norvegia da molti decenni. Quindi, il loro disinvestimento nel carbone pecca, non poco, di ipocrisia, sotto più punti di vista.
Comunque, d’accordo su Le Generali.