Primo contatto? No: sono nativi in fuga dai fucili dei coloni

C’è qualcosa di mitico nell’immagine di uomini nudi che emergono dalla foresta, in mano lance e bastoni, e lanciano grida in una lingua sconosciuta.

La scena che vediamo qui, ritratta in un video girato in una zona remota dell’Amazzonia brasiliana nel giugno scorso,  ha fatto il giro del mondo. Molti hanno titolato sul «primo contatto»: da un lato indigeni nudi, come se venissero da un altro tempo; dall’altro antropologi della Funai (la Fundaçao National do Indio, ente dello stato brasiliano), rappresentanti della modernità dotati di videocamera.

La storia però è più complicata di così. L’incontro con gli antropologi della Funai, avvenuto in territorio brasiliano presso la frontiera con il Perù, ha sollevato due tipi di problemi. Sul lato brasiliano ha scatenato polemiche su come gestire il contatto con popolazioni native isolate (la Funai parla di isolados,non di «incontattati»). Sul lato peruviano invece l’episodio non è stato molto discusso: eppure il gruppo è in fuga dall’aggressione di narcotrafficanti e tagliatori illegali di legname nella regione amazzonica del Perù. Altroché primo contatto: la «civiltà moderna» quegli uomini l’hanno già incontrata, rischiando di lasciarci la pelle.

Era metà giugno quando il gruppo sconosciuto si è presentato d’improvviso nel villaggio Simpatia, in una regione remota dello stato di Acre, sull’alto corso del fiume Envira, nel territorio indigeno Kampa (cioè una riserva territoriale dei nativi ashaninka). Incontro pacifico ma piuttosto teso, dice la Funai: sono arrivati battendo bastoni e casseruole e spaventato a morte i circa 70 abitanti, soprattutto donne e bambini. Hanno preso asce, machete e quant’altro hanno trovato, poi se ne sono andati.

Lo stato di Acre allora ha disposto un’operazione di sicurezza per proteggere gli ashaninka da eventuali minacce dei «saccheggiatori» (definizione poi criticata da molti ricercatori e antropologi). La Funai intanto ha mobilitato il suo dipartimento per i «gruppi isolati o di recente contatto» e ha mandato i suoi esperti a cercare di entrare in comunicazione con il gruppo, capire chi sono e cosa li ha spinti ad avvicinarsi ai villaggi locali. Il video visto in tutto il mondo è stato filmato da José Carlos Mirelles, una ventennale esperienza nell’Amazzonia profonda, ora consulente per lo stato di Acre.

Il gruppo si è avvicinato ai villaggi ashaninka in cerca di aiuto, hanno appurato Mirelles e i suoi collaboratori. Cercano utensili, pentole, asce, machete, vestiti, armi, munizioni. «Ovvio, non hanno altro modo di procurarsele se non prenderle nelle comunità vicine», osserva Leonardo Lenin, dirigente della Funai, interpellato dal giornale Amazônia Real: «Queste acquisizioni ovviamente lasciano le popolazioni Ashaninka e Kaxinawà molto insicure». Anche perché la popolazione protetta in quella riserva indigena è aumentata, spiega Lenin, e l’arrivo di un nuovo gruppo ha il suo impatto. (Oggi nei 6 villaggi della riserva indigena Kampa, 233mila ettari, vivono 420 persone).

Insomma: le priorità per la Funai ora sono «mitigare le relazioni» tra il gruppo sconosciuto e la popolazione locale, e occuparsi della salute dei nuovi arrivati, esposti a malattie che non conoscevano, e per cui non hanno difese immunitarie.

Per assistere il nuovo gruppo la Funai ha riaperto una sua base remota di Xinane, nell’alto fiume Envira vicino alla frontiera peruviana. È una delle due basi di «protezione etnoambientale» istituite per osservare i gruppi nativi isolati: negli ultimi 30 anni tre gruppi isolati sono stati avvistati in quella regione di frontiera tra lo stato di Acre e la provincia peruviana di Madre de Dios, una zona designata dagli esperti come Parallelo 10.

Nelle ultime settimane dunque 23 membri del nuovo gruppo hanno riattraversato il fiume più volte fino a quella base a Xinane, in cerca di aiuto: dopo quei primi incontri infatti hanno sviluppato l’influenza, malattia che ha già ucciso molti dei loro.

Il «contatto» rischia di essere mortale per i nativi? L’incontro con i nuovi arrivati ha suscitato una polemica tra gli esperti di antropologia amazzonica in Brasile. Un decano degli studi amazzonici, l’antropologo Sidney Ferreira Possuelo, critica la decisione di cercare il contatto con il gruppo isolato: «Cosa succede dopo? Che si prenderanno malattie, moriranno, scompariranno», dice a Amazônia Real. È per questo che la Funai aveva adottato nel 1987 la politica di «non contatto» con i gruppi isolati, spiega Possuelo, che ne fu uno dei sostenitori. I nativi vanno difesi piuttosto con la politica di demarcare territori (riserve) indigeni, come ha fatto il Brasile negli ultimi decenni, continua Possuelo; casomai la Funai è responsabile di aver tagliato i fondi e il personale esperto.

Altri invece criticano la Funai proprio perché si è intestardita nella politica di non contatto con i popoli isolati (a meno che siano questi a cercare aiuto, come in questo caso). Questi indios «rischiano di essere sterminati perché la Funai non è preparata ad aiutarli», dichiara l’antropologo Terri Aquino al Blog da Amazônia. «È ora che il Brasile mostri un po’ di generosità», anche perché i gruppi isolati sono sotto pressione, «possono nascere rivolte» e/o scontri tra gruppi diversi. Per questo bisogna dare assistenza e cure ai nuovi venuti come a tutti gli abitanti della riserva ashaninka, «che sono del tutto senza assistenza».

I nuovi arrivati sono fuggiti dopo essere stati attaccati, questo lo hanno chiarito molto bene nelle comunicazioni avute con Mirelles e i suoi. Chiedono aiuto: le loro case sono state incendiate, membri del gruppo uccisi a colpi di moschetto, hanno perso gli utensili necessari alla sopravvivenza quotidiana. Cercano contatto con qualcuno che non gli spari addosso, ne hanno concluso i ricercatori mandati dalla Funai.

Non è un mistero chi siano gli aggressori. Due anni fa la stessa Funai ha chiuso la sua base di Xinane dopo che era stata più volte attaccata da uomini armati, narcotrafficanti provenienti dal Perù. Da allora l’ha riaperta solo in giugno per assistere il nuovo gruppo. Né è la prima volta che gruppi paramilitari sconfinano in territorio brasiliano – le frontiere sono un’idea vaga, nel folto della foresta. Aquino accusa l’ente di aver sottovalutato il problema, e la polizia federale di non aver reagito («dicevano che non è una priorità»).

Il punto è che nell’Amazzonia peruviana è in corso una colonizzazione violenta. Ecco l’altro problema sollevato da quel gruppo di uomini nudi emersi dalla foresta. È una colonizzazione che minaccia i gruppi isolati ma anche gli altri abitanti della selva, nativi o mestizos che siano. Nella provincia di Madre de Dios, nella zona a ridosso del confine brasiliano dove hanno origine fiumi come il rio Envira, tagliatori di legname e narcotrafficanti operano per lo più nell’impunità fin dentro a zone protette come la riserva naturale dell’Alto Purus, da cui sembra che provenisse il gruppo arrivato in giugno in Brasile.

Anche in Perù lo stato ha avviato la demarcazione di territori riservati ai nativi, ma è un processo molto più fragile che nel vicino Brasile – e in ogni caso non ha impedito invasioni di madereiros, i commercianti di legname di frodo che lavorano in modo sfacciatamente visibile. Tantomeno ha fermato le operazioni del narcotraffico.

«I popoli isolati, e quelli contattati, sono alla mercé di banditi che lavorano illegalmente, con la forza, alla spoliazione del territorio», accusa Aquino nel blog citato. Sono le stesse accuse che, dell’altra parte della frontiera, lanciano le organizzazioni delle popolazioni native dell’Amazzonia peruviana. La regione amazzonica peruviana abbonda di conflitti.

@fortimar