Paradossi di guerra. L’Arabia Saudita è il paese più generoso nel finanziare le agenzie umanitarie dell’Onu che aiutano la popolazione yemenita allo stremo per i bombardamenti sauditi.
Lo Yemen non compare spesso nei notiziari, ma nei dispacci delle agenzie umanitarie è ben presente: sei mesi di conflitto hanno devastato il paese quanto cinque anni di guerra in Siria. Ai primi di ottobre l’Onu contava cinquemila morti, di cui circa la metà civili: sono oltre 2.300 morti tra la popolazione civile yemenita dalla fine di marzo scorso, quando una coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha lanciato raid aerei a sostegno del governo spodestato da forze ribelli insediate nella capitale Sana’a.
L’Onu stima che gran parte delle vittime civili siano dovute proprio ai bombardamenti indiscriminati (in uno dei casi più terribili, ai primi di ottobre, le bombe hanno colpito una festa di matrimonio, oltre 130 morti incluso donne e bambini). Giorni fa Amnesty International ha chiesto di sospendere le forniture d’armi all’Arabia Saudita, che accusa di “crimini di guerra” in Yemen.
Strana ironia che proprio il giorno delle bombe sul matrimonio, notizia rimbalzata su tutti i media, le Nazioni unite abbiano annunciato una considerevole donazione saudita: 274 milioni di dollari, cioè il cento per cento della somma che le agenzie umanitarie avevano chiesto in aprile per far fronte all’emergenza nello Yemen (in settembre l’Onu ha lanciato un secondo appello, questa volta per 1,6 miliardi). Del resto non capita spesso che un appello umanitario riceva risposta così generosa, e possiamo immaginare che ai dirigenti Onu non sia neppure passato per la testa di rifiutare quel denaro.
Che gli aiuti siano urgenti non c’è dubbio. Le Nazioni unite dicono che il paese è sull’orlo della carestia. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa parla di «situazione catastrofica». Combattimenti e raid aerei colpiscono in particolare i governatorati (province) di Taiz, Ibb, Al-Dhale’ e Marib. Oggi si conta un milione e mezzo di sfollati, in un paese di 24 milioni di abitanti.
Le infrastrutture civili sono devastate, porti, aeroporti, impianti idrici, ospedali. Il 23 per cento delle strutture sanitarie del paese è distrutto, secondo la Croce rossa. In città come Taiz pochi ospedali sono ancora funzionanti. Nella città portuale di Aden, teatro di alcuni dei combattimenti (e bombardamenti) più furiosi, il grande ospedale civile ora è vuoto e semidistrutto. «Ci sono stati attacchi a operatori sanitari e alle strutture», ha detto a Irin news Richard Brennan, capo delle operazioni d’emergenza dell’Organizzazione mondiale della sanità: «In alcuni casi sono stati “danni collaterali” ma in altri casi, lo sappiamo, sono stati presi di mira».
Si aggiunga che il cibo scarseggia, l’acqua potabile pure, e la coalizione saudita blocca i porti, ufficialmente per impedire l’arrivo di armi per i ribelli: ma non passano salvo rare eccezioni neanche i cargo di cibo e medicinali delle organizzazioni umanitarie.
Le conseguenze sono immaginabili: in Yemen si diffondono malattie altrimenti curabili come la malaria, la dissenteria. E la dengue: la Croce rossa segnala 17.000 casi nella sola provincia di Taiz quest’anno, un picco estremo.
Non è chiaro quale sarà una vie d’uscita dalla guerra dello Yemen, che molti considerano una “guerra per procura” tra Iran e Arabia saudita (anche se ha radice in problemi antichi interni allo Yemen stesso): giorni fa le parti in causa hanno accettato un piano di pace delineato dalle Nazioni unite, ma non è chiaro quali chance abbia davvero.
Intanto l’urgenza resta. Le agenzie umanitarie dicono che la priorità è rimettere in funzione gli ospedali. Giustissimo. Ma ecco il paradosso: le Nazioni unite useranno soldi sauditi per ricostruire ospedali distrutti dalle bombe saudite.