È ufficiale: il glifosato, sostanza base degli erbicidi più usati al mondo, è un «probabile carcinogeno». Lo dice l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Airc), agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità considerata la massima autorità in materia. L’annuncio farà scalpore, perché si tratta di una sostanza molto usata in agricoltura e anche nel comune giardinaggio domestico (il commercio di erbicidi a base di glifosato ammonta a circa 6 miliardi di dollari ogni anno). E soprattutto perché dire glifosato significa dire Monsanto, l’azienda chimica che negli anni ’70 brevettò questa sostanza per metterla in commercio con il nome RoundUp, e negli ultimi vent’anni ha messo sul mercato numerose sementi geneticamente modificate per resistere proprio al RoundUp.
L’annuncio viene dalla stessa Airc, che all’inizio di marzo ha riunito un gruppo di esperti di 11 paesi per analizzare la documentazione scientifica disponibile su cinque insetticidi e erbicidi organofosforati e valutare la cancerogenicità. Sulla base di questa analisi due di queste sostanze sono definite «forse cancerogene» (classe 2B) e altre tre «probabilmente cancerogene», classe 2A. L’analisi degli esperti del Aicr è pubblicata online sulla rivista The Lancet Oncology, e il lavoro completo di tutti i dettagli sarà pubblicato in una monografia della stessa Airc.
La Airc ha esaminato studi sui lavoratori agricoli esposti al glifosato negli Stati uniti, Canada e Svezia, che mostrano un «aumentato rischio di linfoma non-Hodgkin», un tumore del sistema linfatico. Altri studi hanno mostrato danni al Dna e ai cromosomi nei mammiferi.
L’Agenzia internazionale sul cancro non ha un ruolo regolatore, cioè non ha il potere di vietare una sostanza. Però è la massima autorità in materia e quando classifica una sostanza come cancerogena, o «probabilmente cancerogena», è ragionevole che le autorità prendano provvedimenti.
Anche il malathion e il tetraclorvinphos, insetticidi piuttosto diffusi, sono stati inclusi delle sostanze di classe 2A, probabilmente cancerogene.
Ma è la decisione sul glifosato che avrà un impatto maggiore: oggi sono in circolazione circa 750 prodotti per l’agricoltura e per il giardinaggio contenenti glifosato, fa notare il rapporto della Airc, ed è comune trovare tracce della sostanza sia nell’aria quando viene irrorata sui campi, sia nell’acqua e nel cibo, dove persiste. E poi, l’uso di questa sostanza è aumentato in modo drastico da quando la Monsanto ha messo in commercio sementi Ogm resistenti al glifosato.
Monsanto ha subito ha respinto la classificazione del Airc. Philip Miller, vicepresidente della divisione «regolamentazioni» della multinazionale agrochimica, l’ha definita non all’altezza della sua reputazione scientifica: «Non sappiamo come la Airc abbia potuto giungere a una conclusione così drasticamente diversa da quelle di tutti gli enti regolatori sul pianeta».
Si capisce che Monsanto darà battaglia: il glifosato è la sua gallina dalle uova d’oro.
Un po’ di storia. Fondata nel 1901 a East St. Louis (Illinois, Usa) da un chimico autodidatta, John Francis Queeny, Monsanto ha avuto un primo successo nel 1929 con un nuovo tipo di composto, i policlorobifenili (Pcb), apprezzati per l’inerzia chimica e la resistenza al calore (l’industria elettrica li ha usati come liquidi refrigeranti nei trasformatori, poi sono serviti a fare lubrificanti, liquidi idraulici, rivestimenti stagni). Già negli anni ’30 erano apparse prove della tossicità dei Pcb, provata poi tra gli anni ’60 e ’70: i Pcb sono altamente cancerogeni, responsabili di diversi disordini immunitari e della riproduzione, e sono anche molto persistenti, tanto che in molti siti industriali anche in Italia la contaminazione è ancora presente.
Un secondo successo della Monsanto è stato l’erbicida conosciuto come 2,4,5-T, sigla che allude ai numeri di atomi di cloro del composto. Fabbricato dagli anni ’40, era così efficace che durante la guerra in Vietnam l’esercito degli Stati uniti lo usò per defoliare le foreste tropicali in cui si nascondevano i combattenti vietcong. Il famigerato «Agente Orange», chiamato così perché arrivava in bidoni distinti da una striscia arancione, era appunto un misto del 2,4,5-T Monsanto e del 2,4-D di altri fabbricanti. Il suo uso fu sospeso nel ’71, quando cominciarono a essere noti gli effetti di un sottoprodotto, una sostanza che si crea bruciando composti a base di cloro: le diossine. La tossicità della diossina è ormai provata fuori di ogni dubbio; è cancerogena, provoca danni immunitari e alla riproduzione.
Ma il vero grande affare di Monsanto è proprio il glifosato, prodotto nel 1974: dagli anni ’80 è tra gli erbicida più usati negli Usa e poi nel mondo, funziona su ogni genere di pianta. Già da qualche tempo sono noti e documentati i disordini provocati da intossicazione con glifosato (la dose letale è un po’ meno di 20 grammi); soprattutto è ormai noto che il glifosato resta attivo nei vegetali trattati. Eppure su questo pilastro la multinazionale di East St.Louis ha costruito un impero, anche grazie al salto verso le biotecnologie.
Negli anni ’80 infatti Monsanto ha cominciato a investire in modo massiccio in biotecnologie applicate all’agricoltura. E il suo primo exploit sono state proprio le specie resistenti al glifosato: così si può usare l’erbicida senza uccidere anche la pianta utile. Soia, mais e colza «roundup ready» sono sul mercato dal ’96-’97.
Questo ha permesso a Monsanto di mantenere una posizione dominante nel mercato anche quando nel 2001 il brevetto sul RoundUp è scaduto: anche altri ormai fabbricano erbicidi con glifosato, ma Monsanto ha il vantaggio commerciale di vendere il «pacchetto» completo, sementi più erbicida.
Nonostante gli studi finora circolati sulla possibile tossicità del diserbante, ancora nel 2013 in Usa l’ente federale per l’ambiente (Environmental Protection Agency) ha approvato la richiesta della stessa Monsanto di alzare le soglie legalmente tollerabili di residui di glifosato. Oggi gli sarebbe più difficile farlo.
Insomma, che Monsanto non accetti la classificazione dell’Aic non stupisce: minaccia il suo impero commerciale. Le autorità sanitarie invece devono occuparsi di proteggere i cittadini (e i lavoratori agricoli) dal rischio di tumore, e si spera che lo facciano.